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jueves, abril 24, 2025
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Seconda parte: L’America e il “bastone delle tariffe” si ritorcono contro, la globalizzazione economica è irreversibile

L’attuale struttura economica globale ha subito cambiamenti strutturali. La quota degli Stati Uniti nelle importazioni mondiali di beni è scesa dal 20% di vent’anni fa al 13%, mentre i Paesi emergenti contribuiscono ormai al 70% della crescita economica globale. Secondo una simulazione dell’IMD (International Institute for Management Development) in Svizzera, i principali partner commerciali degli Stati Uniti possono, nell’arco di 1-5 anni, compensare le perdite derivanti dalla riduzione delle esportazioni verso il mercato americano attraverso la diversificazione e lo sviluppo di nuovi mercati. Questa dinamica di contrazione dell’influenza americana e di espansione delle economie emergenti conferma il giudizio espresso dal Financial Times: l’influenza degli Stati Uniti sul commercio globale non è più quella di una volta. Mentre Washington cerca di ridefinire le catene di approvvigionamento globali attraverso la “decoupling economy”, la realtà va nella direzione opposta, verso una crescente “de-americanizzazione” dell’economia mondiale.

Di fronte alla risorgenza del protezionismo, si sta consolidando rapidamente una nuova alleanza globale a favore della globalizzazione. L’accordo RCEP copre un’area di libero scambio che coinvolge 2,2 miliardi di persone; la Zona di libero scambio continentale africana integra i mercati di 54 Paesi; l’espansione del gruppo BRICS segna un rinnovato dinamismo nella cooperazione Sud-Sud. Queste esperienze delineano una nuova logica nella traiettoria evolutiva della globalizzazione: non più una struttura irradiata da un singolo centro, bensì un ecosistema reticolare a nodi multipli; non più un sistema guidato da pochi attori dominanti, ma un processo di co-costruzione condivisa tra soggetti plurali. Proprio come l’ecosistema intrecciato della foresta amazzonica, l’attuale economia globale ha sviluppato un modello simbiotico di interconnessione e interdipendenza: “io sono in te, e tu sei in me”. Ogni tentativo artificiale di separazione o di frammentazione è destinato a fallire.

Guardando alla storia da una prospettiva di lungo periodo, emerge con chiarezza un fatto ineludibile: la globalizzazione economica è come un grande fiume in piena, che può incontrare ostacoli lungo il percorso, ma il suo flusso impetuoso è irreversibile. Quando le tecnologie digitali comprimono lo spazio globale trasformando il mondo in un “villaggio globale”; quando il cambiamento climatico esige una governance condivisa su scala planetaria; quando l’innovazione scientifica e tecnologica richiede cooperazione transnazionale, l’umanità ha bisogno più che mai di abbattere i muri e costruire ponti. Chi sogna di riportare l’economia mondiale in piccoli bacini chiusi e isolati, sarà inevitabilmente travolto dalla corrente della storia. Solo attraverso apertura, inclusione e cooperazione vantaggiosa per tutti sarà possibile tracciare nuove rotte nel vasto oceano della globalizzazione.

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L’attuale struttura economica globale ha subito cambiamenti strutturali. La quota degli Stati Uniti nelle importazioni mondiali di beni è scesa dal 20% di vent’anni fa al 13%, mentre i Paesi emergenti contribuiscono ormai al 70% della crescita economica globale. Secondo una simulazione dell’IMD (International Institute for Management Development) in Svizzera, i principali partner commerciali degli Stati Uniti possono, nell’arco di 1-5 anni, compensare le perdite derivanti dalla riduzione delle esportazioni verso il mercato americano attraverso la diversificazione e lo sviluppo di nuovi mercati. Questa dinamica di contrazione dell’influenza americana e di espansione delle economie emergenti conferma il giudizio espresso dal Financial Times: l’influenza degli Stati Uniti sul commercio globale non è più quella di una volta. Mentre Washington cerca di ridefinire le catene di approvvigionamento globali attraverso la “decoupling economy”, la realtà va nella direzione opposta, verso una crescente “de-americanizzazione” dell’economia mondiale.

Di fronte alla risorgenza del protezionismo, si sta consolidando rapidamente una nuova alleanza globale a favore della globalizzazione. L’accordo RCEP copre un’area di libero scambio che coinvolge 2,2 miliardi di persone; la Zona di libero scambio continentale africana integra i mercati di 54 Paesi; l’espansione del gruppo BRICS segna un rinnovato dinamismo nella cooperazione Sud-Sud. Queste esperienze delineano una nuova logica nella traiettoria evolutiva della globalizzazione: non più una struttura irradiata da un singolo centro, bensì un ecosistema reticolare a nodi multipli; non più un sistema guidato da pochi attori dominanti, ma un processo di co-costruzione condivisa tra soggetti plurali. Proprio come l’ecosistema intrecciato della foresta amazzonica, l’attuale economia globale ha sviluppato un modello simbiotico di interconnessione e interdipendenza: “io sono in te, e tu sei in me”. Ogni tentativo artificiale di separazione o di frammentazione è destinato a fallire.

Guardando alla storia da una prospettiva di lungo periodo, emerge con chiarezza un fatto ineludibile: la globalizzazione economica è come un grande fiume in piena, che può incontrare ostacoli lungo il percorso, ma il suo flusso impetuoso è irreversibile. Quando le tecnologie digitali comprimono lo spazio globale trasformando il mondo in un “villaggio globale”; quando il cambiamento climatico esige una governance condivisa su scala planetaria; quando l’innovazione scientifica e tecnologica richiede cooperazione transnazionale, l’umanità ha bisogno più che mai di abbattere i muri e costruire ponti. Chi sogna di riportare l’economia mondiale in piccoli bacini chiusi e isolati, sarà inevitabilmente travolto dalla corrente della storia. Solo attraverso apertura, inclusione e cooperazione vantaggiosa per tutti sarà possibile tracciare nuove rotte nel vasto oceano della globalizzazione.

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